Paolo Gobbi intervista Auro Montanari in Casa Bonanno

Appassionato, storico, scrittore, fotografo, guru del Vintage e dell’Alta Orologeria, Auro Montanari è un riferimento quando si parla dei segnatempo più prestigiosi. Lo abbiamo incontrato a Roma, da Bonanno in Via della Croce e con lui iniziamo una serie di interviste con le personalità più interessanti del collezionismo legate alle lancette più importanti.

Daytona o Speedmaster?

«Mi piacciono gli Speedmaster, li trovo più snob.»

Nautilus o Royal Oak?

«Sempre Royal Oak. È stato il mio primo orologio importante quando ero giovanissimo. Lo comprai da ragazzo, usato, in acciaio la prima referenza uscita, pagandolo un milione e mezzo di lire. Eravamo alla fine degli anni ’70 e il Nautilus lo vedevo come un modello da svizzero-tedesco.»

Quel Royal Oak era già allora un pezzo da collezione, oppure lo utilizzavi normalmente?

«Lo usavo normalmente in quanto era e rimane un orologio molto bello e piacevole da indossare al polso, inoltre è quello che “regge meglio” le complicazioni. Non è un caso se all’interno della sua cassa abbiamo visto di tutto, dal cronografo, al tourbillon, alla ripetizione a minuti… è diventato un extrapiatto, una Grande Complicazione ha persino ospitato dei fumetti! Il Nautilus dà il suo meglio esclusivamente nella versione solotempo.»

 
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Un tempo eri un ingegnere con la passione per gli orologi. Oggi quale definizione ti daresti?

(sorridendo) «Sono un pensionato con la passione degli orologi!»

Cosa pensi del collezionismo odierno?

«Oggi ci sono tre diverse tipologie di personaggi: il collezionista, l’investitore e il collezionista-investitore. La realtà è che ci sono in gioco dei valori sempre più alti, e giustamente bisogna fare anche attenzione a come si “investono” i propri soldi. Inoltre, ultimamente è diventato anche difficile, proprio per il loro valore, indossare alcuni modelli particolarmente conosciuti. Le problematiche di sicurezza sono le stesse in ogni parte del mondo.»

C’è poi un confine non ben delineato tra investimento e speculazione.

«La bolla che avevamo visto negli anni scorsi si sta sgonfiando e stiamo tornando alla normalità.»

L’orologeria vintage si sta prendendo una sorta di “rivincita” rispetto a quella contemporanea?

«Il vintage, alla fine, è sempre rimasto abbastanza stabile se non in crescita, anche durante le altre “crisi”: da quella finanziaria del 2007, finanche a quella dell’inizio degli anni ’90, che riguardò proprio il collezionismo dei modelli d’epoca. Ricordo che un mio amico era solito dire “comprare Patek Philippe è come comprare azioni delle Generali: sono stabili e crescono piano piano, però crescono.»

Forse è anche la storia del Daytona che dagli anni ’80 ha visto una crescita costante?

«Anche il Daytona ha avuto i suoi momenti al ribasso, però è innegabile che la sua crescita sia stata continua e che ancora oggi stia vivendo un momento decisamente interessante.»

Cosa ne pensi di Swatch che, da omega a Blancpain, riproduce pezzi storici?

«Mi sembra una buona operazione di marketing anche se, sono sincero, non pensavo che questa esperienza continuasse dopo Omega. Alla fine hanno scelto un bel modello di Blancpain. Personalmente ho comprato un paio di MoonSwatch e trovo interessante la scelta della bioceramica.»

Auro Montanari con Giovanni Bonanno
Auro Montanari con Giovanni Bonanno

Cambiamo argomento. In collezione hai dei modelli di qualche indipendente contemporaneo?

«Ne ho solamente uno, un Laurent Ferrier con quadrante a settori.»

 Cosa ne pensi, più in generale, dell’orologeria indipendente?

«Ad essere sincero, non li ho ancora capiti. Hanno sicuramente portato una ventata di novità sul mercato e fanno cose che gli altri non si arrischiano a fare. È un come collezionare arte moderna: conosci l’artista vivente, compri i suoi quadri, lo segui in atelier… Con l’indipendente il collezionista può visitare l’atelier di produzione, seguire passo passo la costruzione».

(Giovanni Bonanno) Non ti sembra che alcune case d’asta, Phillips in particolare, abbia spinto molto alcuni indipendenti, a discapito di pezzi ben più storici?

«Le case d’aste devono fare fatturato e in quel momento il mercato voleva gli indipendenti: normale che si sia scelto di percorrere anche questa strada.»

Il ruolo delle case d’asta oggi è cambiato rispetto agli anni ’90, quando sono state innegabilmente artefici del boom dell’orologeria da polso?

«Ricordo che quando ho iniziato a collezionare, alla fine degli anni ’70, gli orologi da polso non erano proprio presi in considerazione. Poi negli anni ’80 con Antiquorum è iniziato questo fenomeno, esploso poi il decennio successivo. Oggi hanno ancora un ruolo fondamentale, non solo nell’orologeria ma anche nell’arte, per vendere e comprare oggetti.»

Il primo orologio da collezione di Auro Montanari: un cronografo Rolex Antimagnatic ref. 3835 degli anni '40, dalle inconfondibili anse a gradino.
Il primo orologio da collezione di Auro Montanari: un cronografo Rolex Antimagnatic ref. 3835 degli anni '40, dalle inconfondibili anse a gradino.

In che anno hai iniziato a collezionare?

«Nel 1978. Allora i miei genitori, collezionisti di arte antica, mi portavano con loro nelle varie fiere che si tenevano in Europa. Io mi annoiavo a morte e mio padre ogni volta, per farmi distrarre, mi diceva: vai a vedere e se vuoi comprati degli “orologetti”, che tanto con l’arrivo del quarzo costano poco.»

Il tuo primo “orologietto”?

«Ho ancora il mio primo orologio acquistato in autonomia, a Bologna da un antiquario, un crono con tre anse decò, una referenza 3835. Nuovo, con solamente un proprietario prima di me. Usai la mia paghetta e mi costò 550mila lire. Oggi vale circa 40/50.000 euro.»

Un aneddoto legato a quel periodo?

«Mio padre che mi disse: mi raccomando, compra solo Patek Philippe e Rolex, che sono Case serie. Non comprare Cartier che sono orologi da parrucchiere! Per fortuna che nell’ultima parte non l’ho seguito e oggi ho dei fantastici Cartier in collezione.» (n.d.r. e anche uno al polso durante l’intervista)

Come facevi a comprendere l’Alta Orologeria in un periodo nel quale non esistevano libri, giornali, internet?

«In effetti quando mio padre mi nominò Patek Philippe, caddi dalle nuvole, perché le uniche mie conoscenze venivano dal negozio di Veronesi a Bologna, che aveva anche una vetrinetta dell’usato. In definitiva non sapevo assolutamente che marca fosse. Le parole di mio padre furono ancora una volta illuminanti: Vai a Ginevra in Rue du Rhône e vedi cosa fanno. Io salii sul mio Maggiolone e mi diressi in Svizzera. Rimasi affascinato da questo mondo fatto di lancette.»

L’influenza dei genitori…

«Nel bene o nel male posso darti una spinta a fare qualsiasi cosa. Mio padre era contento che avessi comunque una passione nel mondo del vintage. Lui era un collezionista di mobili e tappeti del ‘500 e del ‘600, cose che oggi non vuole più nessuno…»

Un rarissimo calendario completo fasi luna con data retrograda di Breguet.
Un rarissimo calendario completo fasi luna con data retrograda di Breguet.

Vedi dei giovani avvicinarsi al mondo del collezionismo orologiero?

«Gli italiani, anche volendo, spesso non se li possono permettere. Sono stato a Singapore ad un talk organizzato da alcuni amici. Di lì a poco sono arrivati tutti questi ragazzi alla guida delle loro Lamborghini dai colori più assurdi, sneaker ai piedi da cinquemila euro, magliette Supreme… Uno di loro, indossando un Richard Mille dal quadrante colorato a confettini, mi guarda il polso e chiede: Cos’è questo? Gli rispondo: Un vecchio Patek Philippe! Da quel momento in poi rimaniamo in contatto e dopo qualche mese mi scrive: Mi sono comprato anch’io un vecchio Patek Phlippe, ti piace il mio 1518?»

Per i giovani italiani forse è più facile avvicinarsi agli youngtimer? I pezzi degli anni ’90 e inizio duemila, che costano relativamente poco ma offrono tanto in termini di qualità e alle volte anche di bellezza?

«I neo-vintage sono una riscoperta importante di questi ultimi tempi. Quello che sempre più persone stanno valutando, è che molti modelli degli anni ’90 e successivi avevano meccaniche casse e quadranti qualitativamente simili se non identici o superiori alle marche più blasonate e riconosciute.»

Si trasformeranno anche loro in un investimento?

«Chi può dirlo? Certo, quando la marca rinasce oppure ha un impulso importante, come sta succedendo per Daniel Roth oppure per Gerald Genta, allora anche i pezzi vintage aumentano di valore.»

Come scegli i pezzi da mettere in collezione?

«In una maniera molto semplice: devono avere un senso estetico una volta indossati al polso. Quindi, devono essere belli.»

Nessun cedimento verso l’investimento?

«No. Forse, oltre che belli, mi piace che siano anche rari. Non riesco ad acquistare modelli che non mi piacciono. Qui ricadiamo nel discorso degli indipendenti.»

 Non ti piacciono esteticamente gli orologi degli indipendenti?

«No. Non hanno il senso estetico della cassa e del quadrante.»

Paolo Gobbi durante l'intervista ad Auro Montanari
Paolo Gobbi durante l'intervista ad Auro Montanari

Cosa consiglieresti ad una persona che vuole iniziare una collezione?

 «Compra quello che ti piace. Compra il venditore e non l’orologio. Studia il più possibile e segui la tua passione.» 

Il venditore è così importante?

«Per me è sempre stato fondamentale. Ho sempre cercato di scegliere dei buoni partner, sia nel lavoro che nelle mie passioni. Inoltre, ho sempre cercato di dare un senso alla mia collezione e in questo il “mercante” si rivela prezioso, perché è la spalla migliore nel trovare anche i pezzi più rari e difficili.»

Spesso i neofiti che si appassionano al mondo delle lancette, scelgono di comperare modelli “nuovi” perché non si sentono sicuri nell’acquisto dei vintage.

«È una scelta naturale, almeno all’inizio. Poi ci sono due strade possibili da intraprendere, anche assieme e non per forza separatamente: scegliere un venditore serio con il quale iniziare una lunga relazione; acquistare dei pezzi all’asta, sfruttandone le garanzie e la documentazione.»

A cosa stai particolarmente attento, quali garanzie prendi prima di acquistare un orologio?

«Mi fido di me stesso e basta. È comunque molto importante sapere la storia del singolo pezzo che vado a comprare. Attenzione, non mi interessa sapere quanto margine fa il venditore, perché il prezzo lo si decide e lo si accetta al momento dell’acquisto. Per me è importante sapere dove e come è stato trovato, chi lo aveva posseduto, acquistato per la prima volta.»

Uno dei rarissimi 145 "Rolex Kew "A" Tested"

(Giovanni Bonanno) Oggi più trasparenza offri al tuo acquirente e più facilmente arrivi alla vendita.

«Certo. Lo stesso accade nell’Arte Moderna, oppure del mondo delle automobili d’epoca. La tracciabilità è alla base delle contrattazioni più importanti e riuscite.»

Se cerchi un pezzo particolare, lo compri comunque quando lo trovi, oppure aspetti fino a che non lo trovi in condizioni perfette?

«Non cerco mai un pezzo in particolare, ma vedo quello che trovo oppure che mi viene offerto al momento. In ogni caso la qualità e la rarità ripagano sempre.»

(Giovanni Bonanno) Tu hai sempre spaziato tra tante marche e modelli diversi.

«Sì, se un orologio è bello, lo prendo, senza guardare di quale marca sia.»

Dal 26 al 29 ottobre, a Bologna si svolgerà Auto Moto D’Epoca, eredità dell’omonimo salone di Padova. Due le novità: la prima è l’evidente cambio di sede; la seconda sarà la presenza di Time on Show, uno spazio dedicato all’orologeria vintage. Tu sei uno degli organizzatori di questo evento, ci puoi raccontare quali sono le sue particolarità?

«Gli organizzatori mi hanno coinvolto e sinceramente sono stato contento che finalmente si organizzasse un evento “a casa mia”. Li ho quindi aiutati. Ci sarà un padiglione rialzato dedicato esclusivamente a Time on Show, con entrata e uscita controllate.»

Com’è avvenuta la selezione degli espositori?

«Gli espositori sono pochi, presumo solamente quattordici. Le richieste erano molte di più, alcune provenienti anche dall’estero. Non ho curato io la selezione, anche se so che la scelta è stata difficile e molto selettiva.»

Bologna si pone come alternativa alle esposizioni esistenti?

«Parma rimarrà sempre un appuntamento importante e per certi versi anche divertente. È la storia del collezionismo e propone tanti oggetti vintage differenti, non solamente orologi. Time on Show potrebbe affiancarsi come un appuntamento indipendente e per certi versi elitario.»

Due straordinari Patek Philippe da tasca: un Ore del Mondo e una Grande Complicazione.
Due straordinari Patek Philippe da tasca: un Ore del Mondo e una Grande Complicazione.

Torniamo all’Auro collezionista: la storia più rocambolesca che ricordi nell’acquisto di un orologio?

«Nessuna, perché io ho sempre fatto i miei acquisti nella mia “comfort-zone”, senza prendere nessun tipo di rischio. Acquisto dai commercianti, che sono persone che lavorano e traggono il loro guadagno da quello che fanno, hanno un nome da difendere. Non acquisto dai collezionisti, che da questo punto di vista non mi sono simpatici, li considero persone tristi: tutti pensano di possedere l’orologio più bello, parlano solo di soldi, di quanto sono riusciti a realizzare oppure a risparmiare.»

Quindi, a mangiare una pizza ci vai con un commerciante oppure con un collezionista?

«Con un commerciante, senza ombra di dubbio.»

Hai una visione molto chiara del mondo del collezionismo orologiero.

«Per mia esperienza le regole del gioco sono semplici. C’è un tavolo con attorno solamente tre player: il collezionista, il commerciante e la casa d’aste. Sul tavolo ci sono solamente gli orologi e i soldi. Tutto il resto non conta nulla. Non contano le chiacchiere, i social, i giornali, gli youtuber, gli advisor.»

Il pezzo che non sei mai riuscito ad acquistare?

«Tanti. Uno su tutti? Un 1518 in acciaio, che mi era stato offerto ma non ho preso per puro snobismo. Non mi era piaciuto come mi era stato presentato.»

Quello invece di cui vai più orgoglioso?

«Il primo che ho acquistato, il crono 3835 di Rolex.»

(Giovanni Bonanno) Come nasce la tua passione per la fotografia?

«Ancora una volta grazie a mio padre. A dieci anni scattavo foto con la sua Hasselblad che lasciava in giro per casa. Da lì non ho più smesso e se devo essere sincero, mi darebbe più soddisfazione vedere le mie foto pubblicate su di un articolo del National Geographic, piuttosto che possedere un 1518 in acciaio.»

Non ci hai mai provato?

«No, non sono abbastanza professionista per farlo. Non sono in grado di realizzare immagini sufficientemente serie da rimanere poi nel tempo.»

Però tanti libri di orologeria portano la tua firma.

«Sono amante della grafica, del design, degli orologi e della fotografia. Un libro riesce a perfezione a riunire assieme tutte queste cose. Non è quindi un caso se ne ho realizzati dieci»

Nell’ultimo libro di Bulgari sei presente con la firma John Goldberger, ma Babin, il Ceo della casa romana, a Ginevra presentando il libro ti ha chiamato con il tuo cero nome: Auro Montanari. Non pensi sia arrivato il momento di abbandonare lo pseudonimo?

«È arrivato il momento di fare il salto: Auro Montanari e basta. John Goldberger era nato per motivi di privacy, legati all’importanza e al valore degli orologi. Ma era un’altra epoca. Oggi, con i social media, la privacy non esiste più, tutti sanno tutto e non ha più senso usare uno pseudonimo.»

Ricordo la nostra prima intervista, eri un collezionista “mascherato”, fotografato di spalle nel suo bomber in pelle.

«Stiamo parlando di vent’anni fa! Ricordo che mi chiedesti del futuro collezionistico del Daytona!»

Facesti una previsione corretta.

«Sì, tutti allora volevano il Daytona e ancora oggi non smettono di cercarlo, acquistarlo, venderlo.»

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