Paolo Gobbi intervista Alfredo Paramico in Casa Bonanno

Collezionista, appassionato, mercante, guru, Alfredo Paramico è un entusiasta protagonista del mondodel Vintage e dell’Alta Orologeria. Lo abbiamo incontrato a Roma, da Bonanno in Via della Croce. Di seguito la prima parte della sua lunga e interessante intervista.

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Nato a Napoli e laureatosi lì, ha iniziato il suo percorso professionale nel settore finanziario, ma ben presto ha deciso di seguire la sua passione per gli orologi. All’età di 23 anni, ha lasciato la sua città natale per perseguire un Master in statistica quantitativa presso l’Università Bocconi. Successivamente, nel 1994, ha fatto il grande passo di trasferirsi a Londra, dove ha iniziato la sua carriera presso Bankers Trust, una delle principali banche d’investimento specializzata nel mercato dei derivati.

La sua competenza nel campo dei derivati, sia nel settore dei titoli azionari che in quello dei titoli di stato, lo ha portato a ricoprire posizioni sempre più prestigiose in diverse istituzioni finanziarie. Ha lavorato per Donaldson, Lufkin and Jenrette (poi acquisita da Credit Suisse), Caboto (parte del gruppo Intesa), Dresdner Bank e infine BBVA, dove ha trascorso due anni a capo delle attività di Capital Markets per l’Italia presso la sede milanese.

La sua passione per gli orologi è una costante nella sua vita sin dall’adolescenza. Fin da giovane, ha iniziato a collezionare orologi, cercando con pazienza pezzi unici nei mercati delle pulci, adattandosi alle sue risorse limitate. Nel corso degli anni, la sua collezione si è arricchita con alcuni dei più prestigiosi orologi della storia dell’orologeria, con un’attenzione particolare per i Patek Philippe prodotti tra gli anni ’30 e gli anni ’50, caratterizzati da cassi di colore “bianco”, realizzati in acciaio, oro bianco e platino. Tra i suoi pezzi più noti spicca il celebre e raro Patek Philippe 1518 in acciaio.

Dopo aver concluso la sua carriera nel settore finanziario, ha deciso di dedicarsi completamente alla sua passione per gli orologi. Ha fondato il primo fondo di investimento interamente dedicato agli orologi da collezione, ottenendo l’approvazione dai regolatori lussemburghesi.

Nel 2013, si è trasferito a Miami, dove si dedica a tempo pieno alla ricerca degli orologi più pregiati e importanti per i suoi clienti più esigenti. Opera come consulente e rivenditore attraverso la sua azienda Alfredo Paramico LLC. La sua vasta conoscenza e esperienza lo hanno portato a servire una clientela internazionale proveniente da ogni angolo del mondo.

Alfredo Paramico con Giovanni Bonanno
Alfredo Paramico con Giovanni Bonanno

Napoli, Milano o Miami?

«Sembrerà paradossale come risposta, perché usualmente le persone nate a Napoli ha un bisogno anche fisico del mare. Da questo punto di vista anche Miami è una città marina. Invece la mia scelta è Milano, la città ideale per il mio lavoro e il mio modo di vivere.»

Ti senti di essere un collezionista oppure un commerciante?

«Sono un commerciante anche se per tanti anni ho fatto il collezionista. Guardandomi indietro, essere stato un “grande collezionista”, almeno così mi hanno definito, è stato di estrema importanza per la mia visione del mondo delle lancette.»

Nella tua storia c’è anche uno dei primi fondi d’investimento legati all’Alta Orologeria. Cosa ricordi di quel periodo e cosa ti ha dato quell’esperienza?

«È stata un’esperienza stupenda. È stato il primo fondo che investiva in orologi d’epoca importanti ad essere stato autorizzato dalla Commission de Surveillance du Secteur Financier in Lussemburgo, in sostanza la nostra Consob. Sono entrato in contatto con delle realtà importanti della finanza, che già conoscevo e che, assieme al mio background nel mondo delle lancette, hanno fatto sì che fossi scelto per il ruolo di guida del fondo. È stata una stupenda avventura. Una cavalcata con alcune importanti complicazioni, che a dire il vero, riguardano genericamente nell’instituire un fondo che investa in beni tangibili.»

Un esempio?

«Non puoi chiedere il riscatto della quota ogni mese, perché mese dopo mese il valore dell’orologio non può cambiare.»

Rifaresti un fondo d’investimento legato all’orologeria?

«Sì, ma con un layout completamente diverso. Il mio sogno sarebbe quello di avere venti persone, selezionate in tutto il mondo, che ti danno una quota di due o tre milioni che non possono essere riscattati prima di cinque anni. Farei con loro tre cene, una in Europa, una in Asia e una in America, per raccontare loro il lavoro fatto, quello da fare, la situazione del mercato e come ci stiamo muovendo. Sono certo che, passati i cinque anni, sarebbero tutti stracontenti del risultato ottenuto.»

Cosa ne pensi di quelli esistenti?

«Sinceramente non ne conosco nessuno regolamentato, quindi non so le loro dinamiche, politiche, le condizioni di rimborso… quindi, non mi posso esprimere.»

Una parte della collezione di Alfredo Paramico
Una parte della collezione di Alfredo Paramico

Torniamo a te: ti piace essere visto e considerato come un commerciante?

«Sicuramente sì. Oggi, però, il commerciante ha anche una figura di “padrino” del collezionista, è colui il quale lo guida nelle scelte. Aver collezionato e sapere le logiche che regolano questa passione, saper individuare le tendenze ed avere la capacità di riconoscere le caratteristiche di un orologio, sono tutte peculiarità che mi aiutano nel rapporto con il cliente.» 

Il commerciante è una figura di riferimento per il collezionista?


«Sì, specie quando parliamo di vintage che, lo dico da sempre, non è per tutti. Devi avere passione cultura, voglia di studiare, apertura mentale indispensabile per instaurare un rapporto di fiducia con il commerciante di riferimento.»

Prima abbiamo parlato di Napoli, Miami, Milano… ma la “capitale dell’orologeria, Ginevra non la vogliamo considerare?

«Alcuni dei miei più bei ricordi da collezionista e non solo, sono legati a quella città. Lì ho acquistato il 1518 in acciaio… ricordo che dopo quell’operazione, camminavo da solo sul lungolago congratulandomi e gioendo per quell’operazione. Ginevra è dove arrivi e “annusi” gli orologi, dove è giusto incontrarsi tutti assieme due o tre volte all’anno per le aste, il salone…»

In quale anno hai iniziato a collezionare?

«Ho iniziato in contemporanea con l’uscita delle prime riviste italiane, Orologi e non solo, Polso, quindi alla fine degli anni ’80. Ricordo che in quel momento potevo imparare qualcosa solo leggendo e i magazine uscivano una volta al mese: in quaranta minuti divoravo tutti gli articoli che mi interessavano, poi passavo i rimanenti 29 giorni, 23 ore e 20 minuti ad aspettare il nuovo numero. In quell’epoca c’era una fame di conoscenza che oggi è un po’ sparita.»

Uno degli orologi più rari e importanti del collezionismo vintage, il Patek Philippe ref. 2497 del 1954 con cassa in platino.

Accendiamo un ricordo: i tuoi 5 orologi preferiti all’inizio degli anni ’90?

«Vi farò ridere: ricordo che andai nel negozio di Lorenzi a via del Bollo, per chiedergli un Gerald Genta. Lui mi guardò e disse: “ma lo sa che per acquistarlo ci vogliono 80 milioni di lire?» Lo guardai sbigottito e me ne andai. Comunque questo era un dei miei preferiti anche se il mio primo orologio d’epoca è stato un Tri-Compax in oro bellissimo acquistato da Luca Musumeci a Milano. Poi ricordo di aver cambiato un Freccione con un Ebel Voyager in acciaio e oro: quando lo indossai ero felice come una Pasqua… mi sembra che anche il commerciante lo fosse. Mi piacevano molto alcuni Rolex e avevo una predilezione per le riserve di carica. Andai al mercatino che si teneva in Villa Comunale a Napoli e scambiai uno Scuba Diver, che all’epoca era come oro, con un Roamer ricerva di carica laminato. Forse allora, viste le scelte non si vedeva bene la mia indole da commerciante.»

Ce l’hai ancora?

«Magari, spero di averla e anzi di essermi migliorato.»

No, non sto parlando dell’indole da commerciante! Quella nessuno la mette in dubbio: il Roamer ce l’hai ancora?

«No, il Romaer non più. Ho però ancora in collezione un Ebel, non il Voyager ma comunque un bel pezzo di questa marca.»

 
Una Grande complicazione di Gerald Genta
Una Grande complicazione di Gerald Genta

Continuiamo su questa strada: quali sono i tuoi 5 orologi preferiti oggi?

«Domanda insidiosa complicata. Partiamo da un assunto: per il mio lavoro ho avuto la fortuna di avere tra le mani alcuni dei segnatempo più belli mai prodotti, questi i miei preferiti. Il 2497 platino con i numeri Breguet di smalto mi faceva tremare i polsi. Un altro pezzo stupendo è il 4113 rattrapante Rolex. Poi il 3974 platino quadrante silver con numeri Breguet. Il 6062 è un orologio che mi è sempre piaciuto in tutte le sue forme e in tutte le sue sostanze. Infine, negli ultimi anni ho riscoperto il tourbillon di Daniel Roth e lo trovo veramente un’opera d’arte.»

Guardando alla tua esperienza, quanto è cambiato il collezionismo orologiero dagli anni ’90 ad oggi?

«C’è una domanda che mi viene sistematicamente posta e che è molto vicina a quello che mi chiedi: “che tipo di consiglio ti sentiresti di dare ad una persona che inizia oggi a collezionare?”.»

Era l’ultima domanda che ti avrei fatto!

«Bene, oggi se questa domanda venisse rivolta a cento persone del nostro settore, la risposta sarebbe stata sempre la stessa: “bisogna assolutamente prediligere la rarità e la qualità”. Se parliamo del mondo vintage conosciamo bene i numeri della produzione e di conseguenza la loro rarità. Spostiamo invece sulla qualità: se la associamo al mondo vintage, ci accorgiamo che viene rivolta “solo ed esclusivamente” allo stato di conservazione dell’orologio. Non conosco nessuno che, dopo aver aperto un fondello di un 2499, ha detto: “guarda che bella finitura Cote de Geneve ha questo movimento oppure la regolazione micrometrica a Collo di Cigno”. Assolutamente no! Guardiamo lo stato di conservazione della cassa, i punzoni, il quadrante… e poi facciamo le nostre scelte.»

 
Una straordinaria collezione di Daniel Roth degli anni '90, con in evidenza due tourbillon.
Una straordinaria collezione di Daniel Roth degli anni '90, con in evidenza due tourbillon.

Ci stiamo avvicinando alla risposta alla mia prima domanda?

«Esatto. È cambiato il modo di collezionare.»

Un esempio?

«Le persone che oggi acquistano i “famigerati indipendenti” fanno lo stesso ragionamento che abbiamo portato avanti prima, cercano prima di tutto la rarità. Mi vengono in mente tre grandi orologiai, per essere equi uno per ogni paese: Theo Auffret a Parigi, Simon Brette a Ginevra e Charles Frodsham a Londra. I tempi di attesa per avere uno dei loro orologi va dagli otto ai dodici anni.»

Lo stesso tempo di attesa per un Daytona in acciaio.

«Sì, ma la rarità per il Daytona è dovuta non ad una produzione centellinata, quanto piuttosto ad una richiesta sproporzionata su scala mondiale.»

Abbiamo capito la qualità, adesso affrontiamo la qualità?

«La qualità in un <2indipendente inizia nel modo in cui è stato progetto un movimento, continua nel modo in cui viene prodotto e implementato, nella scelta dei materiali per ogni singolo componente e delle sue finiture, nella scelta delle casse e delle finiture, nella scelta dei quadranti e dei processi di lavorazione per realizzarlo. Questa è la “qualità” che si riscontra negli indipendenti e quando mi si chiede se sono un fenomeno destinato a durare nel tempo, non posso che rispondere: non sono un “fenomeno”, parola che si attribuisce ad un evento eccezionale, sono già oggi storia.»

Collezionare “indipendenti” è qualcosa di diverso rispetto all’orologeria tradizionale?

«Sicuramente è una maniera di collezionare diverso rispetto a quello della modellistica d’epoca, che si rivolge ad altre persone che hanno più interesse verso la meccanica e il suo funzionamento, piuttosto che alla storia o al blasone dell’orologio stesso.»

Si sovrappongono nelle scelte degli appassionati?

«No, la cosa bella è che orologeria tradizionale e indipendenti viaggiano su strade parallele, non si fanno la guerra e non sono di disturbo l’uno per l’altro. Ci sono persone che amano il vintage, alti gli indipendenti altri ancora, come me, che guardano sia gli uni che gli altri.»

Finisce qui questa nostra prima intervista ad Alfredo Paramico. Prossimamente pubblicheremo il resto – corposo – delle sue idde e considerazioni. 

 

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