Giampiero Massolo: un Leader tra Impegno Pubblico e Passione per le Lancette

Dopo aver colloquiato con manager, collezionisti e storici dell’orologeria, incontriamo oggi un appassionato “puro” del mondo delle lancette vintage, che con la sua storia personale è più volte salito agli altari della cronaca, sia per le sue indubbie competenze professionali che per i ruoli di rilievo che ha svolto nel corso degli anni. 

Stiamo parlando di Giampiero Massolo, Diplomatico, funzionario della Sicurezza Nazionale, leader aziendale: la sua figura incarna la versatilità e l’impegno verso l’interesse nazionale attraverso ruoli diversificati ma con un unico filo conduttore. Dalla guida del Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza all’essere al timone di giganti industriali come Fincantieri e Mundys, la sua carriera è una testimonianza del servizio reso al paese. 

A dispetto del personaggio dall’indubbia valenza , in lui sorprende l’innata gentilezza e la preparazione, unite ad un sorprendente e duraturo amore per le lancette da collezione.

Chi è Giampiero Massolo?

«Sono essenzialmente un pubblico funzionario che ha fatto nella sua vita, per molti anni, il diplomatico; poi per quattro anni in prestito al comparto della sicurezza nazionale, dove ho guidato il “Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza”, che assicura il coordinamento dell’Intelligence italiana. Terminato questo incarico, ho lasciato la pubblica amministrazione ed ho guidato per sei anni, come presidente, un’azienda partecipata dallo Stato: Fincantieri. Sono ora da due anni nel settore privato e sono presidente di Mundys (n.d.r. dai più conosciuta con il “vecchio” nome di Atlantia, è una società italiana attiva in 24 paesi nel settore delle infrastrutture autostradali, aeroportuali e dei servizi legati alla mobilità).»

Cosa lega attività all’apparenza così diverse?

«Il filo conduttore di tutto questo è servire l’interesse nazionale, perché l’interesse nazionale si serve da funzionari e si serve anche nel mondo della creazione del valore, sia che questa creazione sia fatta in aziende nelle quali lo Stato partecipa, sia nel settore privato. Alla definizione dell’interesse nazionale contribuiscono, infatti, anche le aziende – sia pubbliche che private – e molto spesso sono chiamate a promuoverlo e difenderlo all’estero. In Italia poi, spetta spesso a loro, con le loro filiere produttive, un ruolo importante nella stabilizzazione economico-sociale dei territori dove operano.»

Lavorare per la Sicurezza Nazionale, immaginiamo che sarà stato certamente interessante?

«Certamente, anche se devo ammettere che nella mia vita professionale i periodi interessanti non sono mai mancati. Certo, l’intelligence è un campo bellissimo. Scherzando dico sempre che chi si occupa di intelligence svolge la sua attività facendo diving, ogni tanto fa snorkeling, ogni tanto mette la testa fuori, però è essenzialmente diving… È un modo molto interessante di fare le cose: contestualizzare fenomeni complessi, cercare di dare al Governo le informazioni giuste al momento giusto e cercare, nella misura del possibile, di influenzare le situazioni sul terreno. Come quando, per esempio, si riesce ad ottenere la liberazione di un italiano sequestrato che è una delle più grandi soddisfazioni che si possano provare.»

E la diplomazia?

«Una professione bellissima, che consente esperienze straordinarie sul piano professionale, ma anche su quello umano. Aiuta i Governi a parlarsi tra di loro, cerca di avvicinare le posizioni e di smussare gli angoli, sostiene il nostro sistema-Paese all’estero. Oggi più che mai, in tempi di crisi e guerre, è uno strumento importante. È una carriera che vale la pena intraprendere.»

Come nasce il Giampiero appassionato di orologeria?

«Nasce, in realtà, da ragazzo: i miei genitori (mio padre lavorava all’Ambasciata d’Italia a Varsavia) mi regalarono un cronografo di fabbricazione russa, ricordo ancora che si trattava di un Uni-Compax con due contatori e la scala tachimetrica azzurra. Rimasi molto colpito da questo orologio. Avrò avuto una quindicina di anni ed evidentemente mi accese una passione… che però non coltivai.»

Ma neanche si spense.

«Passai dai soliti orologi della comunione, del matrimonio… fino a quando iniziai ad avere uno stipendio che mi consentì di guardare oltre lo “stretto necessario”. Ricordo che mi comprai un Rolex Date usato con quadrante blu, che cambiava colore a seconda della luce. Il secondo orologio, più o meno in ambito familiare, fu un Patek Philippe Calatrava ref. 96. Da lì in poi andai avanti.»

Ti appassionasti subito al vintage?

«Sì, trovai fin dall’inizio affascinante l’unicità degli orologi vintage: sono tutti diversi uno dall’altro, riflettono ciascuno a suo modo il passare del tempo. Ognuno racconta la sua storia. Molti incorporano ancora la mano dell’uomo che li ha costruiti. Mi piace poi il significato stesso dell’orologio, con lo scandire delle nostre giornate. Mi entusiasma il concetto del design, dell’estetica al servizio della funzionalità, infine ho un certo interesse per le meccaniche – alcune molto belle – di questi segnatempo. Piano piano ho iniziato a costruire la mia collezione, che come per tutti i collezionisti inizialmente era quantitativa ovvero composta da varie marche e tipologie. All’epoca, parliamo degli anni ’90 e primi del 2000, mi ritrovai con circa un centinaio di orologi di vario genere e di varie Maison. Poi cambiò tutta la mia “vita” orologiera.» Come? (sorridendo) «Incontrai Pucci Papaleo e nulla fu più come prima. Da quel momento iniziai ad avere sempre meno orologi, ma con molta più qualità, passando da vari marchi a solamente tre: Rolex, Patek Philippe e Vacheron Constantin.» Nessuna eccezione? «Solamente una, il Royal Oak ref. 5402ST seriale B, disegnato da Gerald Genta: lo trovo inimitabile e mi piacciono moltissimo le sue forme, il suo design.

Patek Philippe, Calatrava ref. 96 (Photo © Christies)

Frequentando spesso personaggi importanti, quando sei ad un appuntamento di lavoro, guardi mai il polso dei partecipanti

(sorridendo) «Sempre! Guardo sempre i loro polsi e spesso rimango deluso perché non c’è gusto: a parte la banalità degli orologi digitali, spesso non c’è il gusto dell’abbinamento, si indossano segnatempo fuori luogo per l’occasione. Quando, al contrario, scorgo qualcosa di interessante, allora trovo quasi sempre lo spunto giusto per accendere una conversazione in merito.»

Puoi “spoilerarci” qualcosa di un personaggio che ti ha colpito?

«Adesso sinceramente non mi viene in mente nulla. Forse, aldilà dei personaggi, posso raccontare che un giorno incontro un mio collega che già all’epoca era molto più anziano di me, in una capitale europea importante. Gli guardo il polso e vedo un orologio che mi colpisce e che non conoscevo. Gli chiedo notizie e lui mi ‘introduce’ a questo incredibile segnatempo che è il calendario perpetuo Patek Philippe ref. 3940. Da allora ne ho avuti un paio, sempre scambiati, ma anche sempre ricomprati. Non è un caso se è anche l’orologio che oggi indosso al polso, nella versione in platino, che è quella che preferisco per il suo understatement.»

C’è un tuo orologio “feticcio”, un modello che ritorna sempre?

«Se il 3940 è stato un amore a prima vista, anche il Royal Oak è un modello che ho sempre rivenduto e ricomprato. Quindi “buona la prima” per entrambi. Ma è stato il Patek 96 ad accendere l’amore per il vintage.»

Oggi come scegli i tuoi orologi?

«Li scelgo sulla base di un criterio: cercando di avere nella collezione dei tre marchi citati prima, degli orologi significativi, che in qualche modo rappresentino una sequenza. Quindi, per ciascuna marca, il settore dei solotempo, il settore dei calendari, il settore dei cronografi. Di questi tre marchi e di queste tipologie di orologi, cerco nella misura del possibile e del bilancio, di avere esemplari di qualità.»

Tutto molto preciso?

«No. Non essendo un tipo “verticale”, non punto ad avere tutte le declinazioni di un unico modello, ma mi piace avere di alcuni pezzi significativi, le varianti più importanti. Ad esempio, dell’Ovetto la versione in acciaio, quella in oro e in acciaio/ oro. Il Calatrava declinato nei vari colori di quadrante… questa è idealmente “l’organizzazione” della mia collezione. Nella realtà poi, molti obiettivi restano spesso…un’aspirazione…»

C’è un orologio che hai sempre voluto, ma che non sei mai riuscito ad avere?

«Ma sì, certo. Io ho un sogno: il Patek Philippe ref. 1518, che considero l’orologio più bello in assoluto, oppure il ref. 2499, che però temo sarebbe un po’ grande per il mio polso.»

Del 2526 cosa ne pensi?

«Un grandissimo orologio… ne ho uno braccialato, in oro giallo – che indosso con il cinturino… con il bracciale mi sembra un po’ eccessivo – con un quadrante crema in smalto. Un orologio bellissimo.»

Patek Philippe ref. 2499/100 (Photo © Collezione Bonanno)

C’è più adrenalina quando compri o quando vendi un orologio?

«Quando compro, senza dubbio. Quando vendo c’è sempre un dramma da abbandono.»

Tra una cena con dei collezionisti o comunque con qualcuno del mondo dell’orologeria e una cena diplomatica ufficiale?

«Sai quante volte mi è capitato di scappare in anticipo da una cena ufficiale per andare a una cena tra amici. (sorridendo) Prima il dovere, ma poi il piacere.»

C’è un pezzo che ti sei pentito di avere venduto?

«Certo… qualche pezzo che mi è dispiaciuto aver venduto poi l’ho ripreso. Altri purtroppo no. Avevo ad esempio un bellissimo Rolex Ovettone, la referenza credo fosse 5036, con le cifre arabe triziate e secondi al 6. Lo diedi via in un cambio assieme ad altri orologi, per prendere un Patek Philippe ref. 1526. Peccato…anche se quel perpetuale mi piace molto.»

Quale consiglio daresti a una persona che inizia ad entrare nel mondo del collezionismo?

«Studiare molto e poi scegliere bene le persone con le quali ci si accompagna. Essere consapevoli e avere fiducia.»

L’orologeria è investimento o passione?

«Sono specializzato nel farmi piacere gli orologi che poi non aumentano di valore… spero che questa cosa prima o poi finisca! È fondamentalmente passione. Se poi capita bene… Sono però sicuro che il vero appassionato di orologi, il vero collezionista non compra per guadagnare, ma compra perché gli piace l’oggetto. Se poi riesce la combinazione, è un danno collaterale.»

Quando vai all’estero ti capita di trovare qualcosa nei vari mercatini o botteghe antiquarie?

«I miei viaggi sono sempre frenetici, ma ogni tanto mi capita. Tuttavia, vado giusto a vedere in qualche indirizzo che già conosco, perché non ho molto tempo per andare “alla ricerca”. Raramente capita durante un viaggio di finalizzare un acquisto. È davvero difficile.»

Ti è mai capitato di chiedere a qualcuno di venderti un orologio? Magari a Bill Gates oppure a Barack Obama?

(sorridendo) «No… non mi è capitato. Ma a volte sono stato tentato!»

Ti commentano anche i tuoi orologi? È una maniera per fraternizzare, per scendere a un livello meno ufficiale.

«A me capita ogni tanto. Alle volte lo faccio anch’io, la uso come una tecnica per rompere il ghiaccio…»

Giovanni Bonanno con Giampiero Massolo.

I politici italiani cosa indossano?

«Era nota la passione di Silvio Berlusconi per l’Alta Orologeria: ricordo quando ero capo della segreteria nel suo primo governo, andai a Roma da Hausmann & Co. per far revisionare una sua ripetizione a minuti Patek Philippe. Un orologio che conosco bene, quadrante bianco indici romani. Carlo Azeglio Ciampi possedeva un Vacheron Constantin ma indossava quasi sempre degli Swatch. Giorgio Napolitano indossava un orologio in oro molto bello, ma non di una marca particolare.»

Hai conosciuto e lavorato con diversi Presidenti della Repubblica.

«Nei miei due incarichi pubblici con ruoli apicali, Segretario generale del Ministero degli Affari Esteri e Direttore generale del Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza, mi sono interfacciato con il governo e con le varie figure istituzionali al massimo livello. Per me, è stato un privilegio.»

Più di una volta è venuto fuori il tuo nome nel “toto-presidente del consiglio”. Cosa fai in questi casi?

(sorridendo) «Nulla, mi nascondo. Non è il mio mestiere: faccio e ho fatto il funzionario.»

 

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