Davide Parmegiani: l’Intervista Esclusiva al Guru del Vintage

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Davide Parmegiani, partner dal 2019 della casa d’aste Monaco Legend, è conosciuto in tutto il mondo per la sua duplice identità di appassionato e conoscitore d’orologi vintage. 

La sua expertise si manifesta sia come curatore di collezioni, selezionando con attenzione ogni singolo pezzo, sia come consulente per investimenti di rilievo nel mondo degli orologi. Assimilando il suo ruolo a quello di un curatore d’arte, Parmegiani studia, ricerca e seleziona orologi per creare autentici patrimoni culturali per i suoi clienti. La stessa passione e conoscenza guidano la sua consulenza per chi vede negli orologi vintage un’opportunità di investimento.

Ama Milano, si considera italiano, vive a Montecarlo ma rimane fondamentalmente un cittadino del mondo. Dotato di un innato garbo e dell’inconfondibile gentilezza meneghina, potrebbe rimanere ore ed ore a raccontare delle sue avventure nel mondo delle lancette. Lo abbiamo incontrato durante Time On Show 2023, il momento espositivo a Bologna durante Auto e Moto d’Epoca, da lui fortemente voluto e supportato.

Sei stato definito appassionato, esperto, antiquario, commerciante, persino super-commerciante. Chi è Davide Parmegiani?

«Sono fondamentalmente un appassionato diventato commerciante, che ha avuto la fortuna di essere nel posto giusto al momento giusto.»

Qual è il posto giusto?

«Sono nato in Italia da una famiglia di commercianti gioiellieri. Sin da giovane la mia passione sono stati gli orologi. È una storia già un po’ rivisitata ma è la realtà, quello che sono.»

Partiamo da dove?

«Dalla mia famiglia, da Milano, dalla gioielleria di quartiere gestita da mio padre. Tra le tante attività acquistava e vendeva gioielli anche da privati e, ogni tanto, nei pomeriggi dopo la scuola, andavo in negozio e capitava di vedere anche qualche orologio appena arrivato in vendita. Ricordo l’emozione di vedere i primi ovetti d’oro, i Rolex sportivi… cercavo sempre di metterci le mani sopra, di studiarli, di capirli. A dodici anni avevo già la mia piccola collezione di segnatempo, capitanata da un Porsche Design con la cassa nera destinata a scolorirsi di lì a poco.»

Il primo orologio serio?

«Un GMT Master in acciaio. All’epoca non si conoscevano le differenze tra freccino, cornino e tutto quello che ne consegue. Era semplicemente un bel pezzo, tenuto bene. Lo comprai con i miei soldi, pagandolo 300mila lire. 

La domanda è d’obbligo: lo rivendesti e se sì a quanto?

(sorridendo) «Rivenduto sì, a 500mila lire. Un bell’utile, non c’è che dire.»

 
Un Rolex GMT-Master ref 1675 del 1966. QUello in foto è un modello particolare realizzato per la Fuerza Aérea Del Perú e venduto nell'ottobre 2023 da Monaco Legend per 41.600 euro.
Un Rolex GMT-Master ref 1675 del 1966. QUello in foto è un modello particolare realizzato per la Fuerza Aérea Del Perú e venduto nell'ottobre 2023 da Monaco Legend per 41.600 euro.

Prova a tornare indietro con la memoria alla metà degli anni ‘80: per i quali orologi impazzivi in quel periodo?

«Gli sportivi della Rolex, il GMT Master in primis. Sono stati loro ad affascinarmi e per documentarmi su questi pezzi ho iniziato a cercare tutti i cataloghi cartacei delle prime aste di orologeria che si svolgevano in quegli anni. Andavo nei mercatini a cercarli perché non c’era nessuna casa d’aste disposta ad inviarmeli. Poi nel 1987, grazie ad un caro amico dell’epoca, conobbi Giorgio Gregato, che all’epoca era un mito nell’orologeria da collezione e aveva un’attività avviata in via Cerva a Milano.»

Era un momento di grande fermento per il mondo delle lancette.

«Tra il 1987 e il 1988 ho sviluppato la mia convinzione di lavorare nel mondo dell’orologeria.»

Trovando tutti d’accordo?

«Assolutamente no. Mio padre era refrattario al 100% e voleva che prendessi in mano l’azienda di famiglia e che mi occupassi di gioielli. Gli dissi che mi piacevano i mercatini domenicali dell’antiquariato e volevo andare lì a fare la mia bacheca. Il mio sogno era l’America, le convention. A dire il vero ero andato proprio con mio padre diverse volte a Londra, per acquistare gioielli da rivendere ai clienti. Ma era una cosa completamente diversa.»

Hai iniziato davvero con i mercatini?

«Certo. Sono andato a Bollate, mi sono messo d’accordo con un espositore locale che vendeva già orologi e che è stato il mio primo socio – che ricordo sempre con grande affetto, Valentino Prina del negozio le Muse in via Maroncelli a Milano, un burbero comasco con una grande serietà professionale – ho cominciato a lavorare con lui a Bollate, i primi orologi in negozio, i primi clienti. Da lì è poi letteralmente “deflagrato” tutto.»

Avevi fatto la scelta giusta?

«Ho immediatamente compreso che l’orologeria d’epoca aveva un potenziale straordinario, che c’era tanto da apprendere e sviluppare. La fine degli anni ’80 è stato uno dei momenti più vivaci ed importanti per l’imprenditoria italiana dell’intero scorso secolo: ho conosciuto degli imprenditori in quel periodo ormai super affermati e con una sete irrefrenabile di collezionare orologi. Sono stati i miei primi clienti all’inizio degli anni ’90: ognuno di loro comprava anche cinque orologi a settimana.»

Un bell’inizio.

«Al polso oggi indosso un 1518 di Patek Philippe. Il primo lo acquistai per 70 milioni di lire: per me era una cifra spropositata, per i miei clienti delle noccioline, una spesa “affordable”: collezionisti della prima ora ma con una grande lungimiranza, come Sandro Fratini, Enrico De Marco, Anna Colombo, Luigi Koelliker, Davide Blei, Luigi Calvasina… questo per dirne solo alcuni.»

Alle convention i America ci sei andato?

«Certo, ho conosciuto lì i più grossi commercianti dell’epoca, da Joe DeMesy a Peter Forstner. Sono loro ad aver creduto in me, dandomi credito e la possibilità di comprare qualsiasi cosa. Poi ho conosciuto Daryn Schnipper che all’epoca era la responsabile internazionale degli orologi da Sotheby’s, con lei ho immediatamente instaurato un grande feeling e ancora oggi è una delle mie migliori amiche e colleghe. Anche lì ho fatto un lavoro straordinario, andando alle aste negli Stati Uniti, poi a Ginevra.»

Patek Philippe referenza 1518 del 1949.
Patek Philippe referenza 1518 del 1949.

In Svizzera, in quegli anni, il mercato girava intorno ad Osvaldo Patrizzi.

«Senza dubbio una delle persone che ha contribuito di più ad “inventare” il mercato dell’orologeria da polso da collezione. Anche lui ha creduto in me, mi ha dato fiducia, ha intuito le mie connessioni con l’imprenditoria italiana.”

 

Confronto tra gli anni ’90 e oggi: erano differenti gli acquirenti?

«Sì. Non esisteva internet e c’era molta meno possibilità di documentarsi, di conoscere e di imparare. Ci si doveva basare sui libri dell’epoca, I Signori del Tempo, Ore d’Oro, poi La Danza delle Ore di Alessandro Tagliabue e Tony Zichichi… tutto questi era la storia dell’orologeria. Ci affidavamo a delle persone che reputavamo legittimate, come poi in tanti si sono affidati a me ed al mio lavoro. Da qui nasceva il piacere di collezionare: le persone hanno incominciato ad acquistare gli orologi, anche in grande numero. Sono nate così le collezioni più grandi del mondo.»

 

Poi cos’è successo?

«È arrivata Internet ed a tutti è stata data la possibilità di acculturarsi in maniera esaustiva, addirittura alle volte anche eccessiva.»

 

Eccessiva?

«Sì, perché la documentazione virtuale alle volte è troppo fredda e non rispecchia la vera essenza dell’orologio da collezione, non è in grado di trasmettere la stessa passione che viene dal tenere un oggetto tra le mani e valutarne le reali condizioni, il reale fascino che riesce a trasmettere. Internet, con le sue fotografie, i suoi video, è senza dubbio più freddo nella comunicazione. Rimane, ad ogni modo, il media che è riuscito a far conoscere questo mercato a tutto il mondo.»

 

Internet ha dato sicuramente un impulso quantitativo al numero degli scambi. In base alla tua esperienza pensi sia aumentata anche la qualità degli stessi?

«Sì, assolutamente. La possibilità di studiare i punzoni, catalogare i quadranti, stabilire dei punti fermi per delimitare le varie serie, tutto questo è servito a “qualificare” gli oggetti. Il problema è che internet da troppo la possibilità, a chiunque, di autoproclamarsi esperto, senza che poi ci sia una reale esperienza sul campo. Questo fa una differenza enorme e sta creando una vera e propria spaccatura nel mercato dell’orologio da collezione.»

 

Una spaccatura?

«C’è una corrente di pensiero di chi ha maneggiato gli orologi per trenta, trentacinque anni e di conseguenza si è creata l’esperienza guardandoli in prima persona, perché ogni orologio, le sue condizioni, riescono sempre a raccontare la sua storia, di chi lo ha posseduto, custodito, della cura che gli ha dato. Le foto in internet, quelle da catalogo, quelle dei blog, non sono in grado di trasmettere queste storie.»

Nei tuoi cataloghi d’asta Monaco Legend, in realtà è visibile lo sforzo di raccontare, anche a parole, la storia dei pezzi messi in vendita. Non è una cosa che fanno tutti.

«Infatti, è il motivo perché in quattro anni la vostra realtà sta iniziando ad emergere nel mondo delle aste. Sin dall’inizio ho cercato di creare un format all’interno del quale si riesca a dare un’immagine diversa dell’orologio stesso, dando importanza e basandoci sulla storia di ogni singolo pezzo. È la storia che regala carattere e carisma all’oggetto. Altrimenti, si corre il rischio di parlare solamente di referenze e soldi. L’orologio va conosciuto bene prima di essere acquistato, non deve ridursi tutto solamente alla presenza o meno di una garanzia: il periodo storico nel quale è stato fabbricato è fondamentale per comprenderne il valore e la veridicità, ma diventa anche un arricchimento per comprendere l’intera storia del novecento, di cui gli orologi da polso sono dei significativi testimoni.»

 

Contestualizzarlo storicamente aiuta a capire se un orologio è vero o meno?

«Assolutamente sì: se lo metti nel suo contesto storico, capisci immediatamente le sue condizioni siano coerenti con la sua storia o se non ci siano state delle aggiunte oppure delle modifiche in epoche successive.»

 

Rimaniamo sulla tua casa d’aste. La creazione di Monaco Legend è stata una scelta dettata dalla necessità oppure dalla lungimiranza? 

«Di lungimiranza. Se devo essere sincero non avevo particolari problemi o necessità. Vivevo da nove anni a Lugano in Svizzera, dove in via Nassa avevo aperto una mia piccola attività che funzionava davvero bene. Inoltre la qualità di vita era perfetta, lavoravo su appuntamento in maniera tranquilla e potevo curare al meglio il rapporto con i miei clienti e gli amici. Non mi interessa vendere, niente mass-market. Mi interessa creare una collezione, una passione, curare determinati investimenti.»

 

Poi cosa è successo?

«Negli ultimi anni ho capito che il one-to-one come rapporto commerciale andrà sempre di più a scemare: l’online sta sempre di più prendendo il sopravvento instaurando un rapporto diverso con la quotidianità. Tutto questo non fa parte teoricamente della mia generazione, ma lo accetto e mi adeguo. Inoltre ho due figli, dei quali ho la responsabilità morale di quello che saranno in futuro.»

 

Ti sei trovato a pensare cosa poter lasciare a loro, oltre ad una bellissima collezione di Alta Orologeria che avrai creato in questi anni.

«Ho pensato che volevo provare a vedere se riuscivo a far nascere in loro la passione per quello che faccio io. Ho capito però, che fare questo nella mia bottega di Lugano, nel one-to-one con i clienti, non sarebbe stato per loro un grande regalo. Gli avrei insegnato qualcosa che era già vecchio nel momento in cui lo avrebbero appreso.»

 

Era necessario cambiare obiettivo.

«Ho incominciato ad osservare il mondo delle aste e grazie ad un contatto con Claude Cohen di Monaco Legend, una piccola auction house monegasca, ho ricevuto da lei un’offerta che mi ha dato la possibilità di entrare a far parte della sua realtà. Ne ho parlato in famiglia e abbiamo scelto di entrare in questa nuova avventura. Mio figlio già lavorava con me da un anno e mezzo, mia figlia era nel mondo delle public relation, abbiamo fatto un completo cambio di vita e ci siamo trasferiti a Montecarlo.»

Nella foto Giovanni Bonanno, con Davide Parmegiani e i suoi figli Andrea e Carlotta.
Nella foto Giovanni Bonanno, con Davide Parmegiani e i suoi figli Andrea e Carlotta.

Il Principato di Monaco è la tua nuova casa, oppure solamente il luogo ideale per il tuo lavoro?

«Mi sono sempre sentito cosmopolita e quindi non ho particolari legami affettivi con il luogo nel quale vivo. Mi piace stare a Milano, mi sento italiano, sono e sarò sempre italiano, mi sono però reso conto che le realtà internazionali offrono delle opportunità di lavoro sicuramente più vantaggiose rispetto a quelle esclusivamente italiane. L’idea di avere una Casa d’Aste a Monaco mi ha eccitato molto e mi ha regalato una grande energia.»

 

Come state gestendo questa nuova e complessa attività?

«Mio figlio sta diventando un bravo Consignment Specialist all’interno della Casa d’aste, che è poi l’obiettivo che mi prefiguravo per lui, anche se il suo istinto lo porterebbe verso il lavoro del dealer “puro”. Fa i suoi passi, considerando che il lavoro di esperto in una Casa d’aste è completamente diverso.»

 

Che differenza c’è tra un esperto all’interno di una casa d’aste e un commerciante tradizionale?

«Sono cose completamente diverse. Da quattro anni cerco di gestire al meglio le collezioni che i clienti mi affidano, con i quali spesso ho rapporti ultradecennali e quindi un rapporto basato sulla stima e sulla fiducia reciproca. Accanto a ciò, lavoro affinché nuovi clienti, specie giovani, si avvicinino alle aste orologiere: sono loro i collezionisti di domani, quelli che manterranno vitale il mondo delle lancette.»

 

Come fai a far convivere l’anima del commerciante, dello storico antiquario, con quella dell’esperto all’interno di una casa d’aste?

«Non vanno in contrasto, soprattutto perché ho da subito accettato l’idea di non vendere i miei orologi personali in asta. Monaco Legend ha una doppia licenza, sia come casa d’aste che come private sell. Possiamo, quindi, fare anche delle vendite private. Di conseguenza, assieme al mio socio, abbiamo convenuto di dotare Monaco Legend di un suo stock di orologi per il private sell, in maniera tale da dare la possibilità al cliente di acquistare un orologio anche in privato. Penso che oggi la casa d’aste abbia una sorta di funzione a 360 gradi rispetto al cliente: se il suo sevizio è di qualità e professionale, è in grado di soddisfare qualsiasi sua esigenza.»

 

Il cliente non ha solamente l’esigenza di comprare o vendere un orologio?

«Il nostro lavoro è molto più ampio. Possiamo gestire o integrare una collezione, consigliare il migliore acquisto in base alle esigenze del cliente stesso, indirizzare anche sugli acquisti da effettuare in altre case d’asta. In fondo è quello che ho fatto da una vita: sono sicuramente uno dei migliori clienti che Christie’s, Sotheby’s, Phillips e Antiquorum. Ho sempre comprato da loro sia per me che per i miei clienti.»

 

Oggi continui a farlo come un tempo?

«Lo faccio come advisor, non faccio più stock a livello personale, ma per Monaco Legend: quando vedo qualcosa di interessante venduto da altre case d’asta ad un prezzo interessante, lo prendo e lo metto nel nostro stock per rivenderlo in tutto il mondo. Devo dire che è il lavoro che so fare meglio.»

 

Teoricamente il tuo lavoro non è cambiato tanto.

«È cambiato solamente nella funzione della casa d’aste: fare la selezione, organizzare l’asta e creare il catalogo. Per quest’ultimo presto una grande attenzione, perché non è come nell’one-to-one che si ha davanti il cliente e gli si può spiegare con calma l’orologio, nella vendita all’incanto l’acquirente si documenta sul catalogo cartaceo o online e si innamora di un oggetto solamente se sei stato bravo a raccontarlo proprio sul catalogo.»

Un Rolex Daytona, referenza 6239 con firma Tiffany & Co e con il quadrante più rinomato in tutto il mondo, il Paul Newman. Venduto da Monaco Legend per 689.000 euro.
Un Rolex Daytona, referenza 6239 con firma Tiffany & Co e con il quadrante più rinomato in tutto il mondo, il Paul Newman. Venduto da Monaco Legend per 689.000 euro.

Qual è stata la molla che ha permesso a Monaco Legend di affermarsi così velocemente nel mondo delle aste?

«Sicuramente la fiducia dei clienti nei miei confronti: la reputazione guadagnata con loro in tanti anni di lavoro ha fatto sì che il nostro lavoro si sviluppasse davvero velocemente. Il tallone d’Achille delle case d’asta oggi è l’essere carenti di esperti del mercato: professionisti, bravissimi ragazzi che lavorano con passione, che però non hanno 35 anni di esperienza sulle loro spalle, anche perché se l’avessero avuta probabilmente avrebbero scelto di fare i mercanti per conto loro. Non va bene farsi l’esperienza dentro le case d’asta, fatte salve eccezioni particolari come quella di mio figlio che cresce accanto a me, o di Edoardo Bolla che lavora con Aurel Bacs e sta crescendo a vista d’occhio di legittimità, per il resto hanno bisogno veramente di tanto tempo per acquisire le nozioni e la legittimità necessarie per attirare compratori e venditori.»

 

Questo vuol dire che non sbagliate mai?

(sorridendo) «No, come tutti commettiamo degli errori e siamo i primi ad ammetterlo. Lavoro sempre in totale buona fede e infatti accettiamo collaborazioni o critiche che ci aiutino a correggere se c’è qualcosa di sbagliato oppure a migliorare quello che facciamo. Ad esempio nella penultima asta abbiamo tolto un paio di pezzi dalla vendita, perché grazie all’aiuto di professionisti amici, abbiamo capito che non erano regolari. Io sono a Monaco Legend per fare quello che ho fatto per trentacinque anni: creare delle belle collezioni e avere un bel rapporto umano e professionale con i collezionisti.»

Patek Philippe, 35 anni nella stessa collezione, forse unico ed estremamente ben conservato, orologio da polso di forma quadrata in platino, secondi centrali e cassa incernierata, pubblicato in “I Signori del Tempo – 300 favolosi orologi da polso vintage. Cassa in platino, anno 1920.

Stima: € 250.000 –⁠ 500.000

Venduto DA MONACO LEGEND NELL’OTTOBRE 2023 PER  € 754.000

C’è più adrenalina nel comprare o nel vendere?

«Nel comprare! Io comprerei e basta! Per fortuna sono amico di personaggi come Auro Montanari o Sandro Fratini, che nel tempo ho obbligato a comprare tutto quello che non avevo acquistato io.»

 

Un esempio?

«Non è ne logico né etico che io acquisti un orologio che metto all’asta da Monaco Legend. Quindi, non potendo farlo, alle volte “obbligo” Auro all’acquisto, in quanto so che si tratta di un oggetto particolarmente raro o di valore. Ad esempio, ha “comprato” sotto mia pressione il Patek Philippe carré secondi centrali in platino che io ho avuto l’onore e il piacere di gestire nell’ultima asta Monaco Legend: un orologio pazzesco a cui davo la caccia da oltre trent’anni, di proprietà del papà di un mio carissimo, pubblicato sul libro I Signori del Tempo scritto da Jader Barracca, Giampiero Negretti, Franco Nencini. Una pietra miliare del collezionismo e dell’orologeria, che meriterebbe un posto d’onore in un museo, che quest’anno ha compiuto 100 anni… doveva rimanere “a vita” nella collezione di un amico: “non puoi non comprarlo” risposta “ma quell’orologio farà una cifra” rispondo “quello che farà è quello che il mercato decide che oggi vale, perché è questo che succede e deve succedere quando si vende all’asta”.»

 

Interessante questo ultimo discorso: da tempo si fa un gran parlare dell’opportunità o meno dei prezzi di riserva.

«Il mio obiettivo è quello di arrivare a fare delle aste senza prezzi di riserva: sarebbe la cosa migliore per tutto il collezionismo. È il mercato che fa il prezzo ed è il mercato che fa il valore.»

 

Il problema è che il venditore alle volte non si sente tutelato da quello che potrà accadere durante la vendita.

«Lo capisco, ma è uno sbaglio. Una paura che piano piano, nel tempo il venditore supererà. Se l’orologio è bello ed è gestito in maniera professionale con un buon marketing da parte di chi lo deve vendere, il risultato è che sarà visibile in tutto il mondo: noi siamo vecchi per l’online ma l’online è molto giovane per noi, di conseguenza la realtà è che oggi tutti vedono tutto.»

 

Il mercato riuscirà sempre ad esprimere il prezzo giusto?

«Sì e quando un pezzo va invenduto, i motivi sono due: non era descritto e spiegato correttamente; aveva un prezzo di riserva troppo alto. Il venditore pauroso oppure troppo avido è quello che danneggia il mercato delle aste, che non rispecchia un’immagine reale del mercato. Bisogna conciliare l’avidità dei venditori con delle condizioni economiche che sono in balia delle situazioni internazionali, facendo sì che le persone sia stimolate all’acquisto. Se abbiamo un 94% di acquisto vero e consolidato, lo dobbiamo anche ad un fatto importante: una stima conservativa invoglia le persone a venire in asta, la realtà è che si potrebbe fare anche una valutazione più aggressiva, mentre alzare troppo questo valore disincentiva la vendita.»

 

Urge un esempio.

«Nell’ultima asta ho messo in vendita un Day-Date in platino quadrante onice con una stima ultra conservativa a 20.000 euro. L’ho potuto fare perché il cliente si è fidato di me e delle capacità di vendita di Monaco Legend. Se lo avessi messo vicino ai 124.000 euro che sono stati la reale aggiudicazione, avrei ottenuto solamente di spaventare dei possibili acquirenti e magari l’orologio non avrebbe neanche raggiunto quel valore importante. Inoltre, penso che se fosse stato senza riserva, avrebbe fatto ancora di più: era un orologio eccezionale.»

Un Rolex Day-Date Ref. 18026 del 1987 in platino, quadrante in onice. Partito da una stima di 20.000 euro è stato venduto da Monaco Legend a 169.000 euro
Un Rolex Day-Date Ref. 18026 del 1987 in platino, quadrante in onice. Partito da una stima di 20.000 euro è stato venduto da Monaco Legend a 169.000 euro

L’orologeria vintage è passione oppure investimento?

«Nasce come passione. Se ti avvicini solamente per investimento è difficile che l’orologio di ripaghi: devi trasmettergli passione, emozione. Non è un mercato a breve scadenza adatto a speculatori a breve termine. Non si deve parlare di rivalutazione percentuale mensile oppure annuale. A chi mi chiede quanto varrà un determinato orologio tra un anno, rispondo sempre: “avvicinati a qualche investimento borsistico, in questo momento stanno avendo ottimi risultati, ma soprattutto avrai soddisfazioni più consolidate e sicure”. L’orologio non da sicurezze, oggi il mercato è vasto e importante perché ci sono tanti appassionati sparsi in tutto il mondo, non perché ci sono degli speculatori. Questi entrano ed escono velocemente, al contrario chi custodisce e accetta di custodire un pezzo da collezione, per un lasso di tempo sufficiente a ripagarlo, avrà sempre e solo soddisfazioni. Una legge è quella che guida il mercato: la bramosia di possesso.»

 

La bramosia di possesso?

«Se compri un bell’orologio e te lo tieni, ci sarà sempre qualcun altro che lo vorrà e per riuscire a portartelo via sarà disposto a pagare di più di quanto tu lo abbia pagato. Che poi, lo si sarà capito, per me vendere un oggetto a cui tengo, è veramente una sofferenza. Gli americani dicono “Let it go”, lascialo andare, ma per me è davvero un dispiacere alienare determinati orologi a cui tengo… potrà sembrare assurdo ma mio figlio soffre più di me.»

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